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domenica 8 maggio 2016

Pedofilia, a Brindisi 4 preti coinvolti. Uno di loro: "Ho avvisato il vescovo, ma non si è mosso"

Un sacerdote della diocesi è già stato condannato, uno è imputato e gli altri due sono indagati. Intercettato lo sfogo contro il capo della diocesi: "Ha allontanato me dalla parrocchia, ma non ha fatto nulla con gli altri"


Quattro preti coinvolti: uno già condannato, un altro imputato e due indagati. E un'intercettazione telefonica che rischia di mettere in imbarazzo l'attuale vescovo, monsignor Domenico Caliandro
. C'è un'aria pesante da qualche mese attorno alle chiese della diocesi di Brindisi. Un'aria che preoccupa i fedeli ("che cosa sta succedendo?", chiedono anche sui social network), allarma la Curia, impegnata a mettere le pezze a una vicenda molto imbarazzante, e muove la Procura, che ormai da due anni si trova a indagare su un caso alla Spotlight.

Tutto nasce da una denuncia anonima, rilanciata da un servizio delle Iene, contro don Giampiero Peschiulli, 73 anni, parroco a Santa Lucia, nel centro di Brindisi. Alcuni ragazzini raccontano di aver subito abusi e molestie. Il prete nega, parte l'indagine e la Procura lo arresta: abusi sessuali su minorenni compiuti approfittando "dell'autorità morale e religiosa connessa all'essere il parroco". Alcuni raccontano che le molestie erano partite nel 2002, di averle denunciate anche al vescovo dell'epoca, monsignor Rocco Talucci, che - mettono a verbale - "aveva espresso meraviglia sul fatto che i giovani avessero parlato delle molestie, aveva invitato le vittime a non denunciare la vicenda e a non parlarne con altri".




Talucci verrà poi sentito dagli investigatori e proverà a sminuire. La guida della diocesi intanto cambia e la storia sembra finita. Sembra, perché pochi mesi dopo altri due prelati finiscono sotto inchiesta per le stesse accuse. Uno è il favorito di monsignor Talucci: don Francesco Caramia. È accusato di molestie a un ragazzino di 11 anni: indagine nata da una denuncia presentata da un pediatra. Il fascicolo arriva sul tavolo di un magistrato scrupoloso, Milto de Nozza, che ha un'intuizione: possibile che non ci sia alcuna correlazione tra i due casi? Chiede ai carabinieri di approfondire le storie. Ed effettivamente qualcosa emerge.



Il nome di don Caramia era già nell'inchiesta della procura di Brindisi in un'intercettazione telefonica inquietante. Il 13 novembre del 2014 Peschiulli era al telefono con un amico. Era tornato a Terracina, sua città natale, perché sul giornale erano finite le denunce dei ragazzini di Brindisi contro di lui. La conversazione è di quelle confidenziali ("Gianpiero dice ad Andrea che a Terracina sta facendo il prete in tutti i sensi...", annotano i carabinieri). "Basta con questa pagliacciata - gli dice l'amico - Torna". "L'avvocato - risponde Gianpiero - dice aspetta che finiamo le indagini. Tanto poi dopo faremo mettere noi i titoloni grandi (...) Che poi avessi fatto entrare qualcuno in casa. È quello che mi distrugge. Avessi fatto come tanti che vanno in discoteca pure travestendosi, non ho fatto niente (...) Casa e chiesa, chiesa e casa".

Interviene l'amico: "Veramente ci stanno poi certi tipo Caramia che lo fanno proprio alla luce del sole e nessuno rompe i coglioni ". "Eh no - dice don Peschiulli - Ma io l'ho scritto nella lettera. Eccellenza, di scandali, beh, cominci a guardare le altre parrocchie come Bozzano e altre parrocchie (...) Mo' basta". Che significa? "Peschiulli - scrivono i carabinieri in un'informativa - rimarcava più volte la circostanza che l'attuale vescovo, monsignor Caliandro, avesse preso provvedimenti nei suoi confronti e non invece verso gli altri preti del luogo, tra cui don Francesco Caramia, che si erano resi responsabili di comportamenti gravi e censurabili, citando anche i "viaggi con i ragazzini " noti al pubblico.



Eppure nei loro riguardi non era stata presa alcuna decisione. Il monsignore dunque sarebbe stato avvisato, ma don Francesco è comunque rimasto al suo posto fino al momento della nuova denuncia del pediatra. E della nuova indagine. Al suo posto era rimasto anche don Franco Legrottaglie, 67 anni, di Ostuni. Dopo una condanna a un anno e dieci mesi
 (sospesa) nel 2000 (per una vicenda del 1991) per "atti di libidine violenta", un lungo periodo spirituale in Africa, nel 2010 Legrottaglie viene nominato dal vecchio vescovo cappellano all'ospedale Perrino di Brindisi e poi riprende a celebrare in una parrocchia di Ostuni. Fin quando nel suo computer, meno di un anno fa, vengono trovate centinaia di foto pedopornografiche: la Procura ha chiesto la condanna a quattro anni. Le cartelle con i file dei bimbi avevano i nomi dei santi.

domenica 14 febbraio 2016

Indagine sul deep web, scoperto sito di riferimento per pedofili. Primo sequestro di criptomoneta

Indagine sul deep web, scoperto sito di riferimento per pedofili. Primo sequestro di criptomoneta
La polizia ha individuato un italiano che gestiva il più gettonato portale web clandestino dove si scambiavano materiali pedo pornografici usando soldi virtuali
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ROMA - Lo chiamano "deep web", è il lato di internet nascosto ai tradizionali motori di ricerca dove si trovano materiali illegali di ogni genere. Complesse indagini della polizia, coordinate dalla Dda di Roma e in collaborazione con l'Europol, hanno permesso di individuare l'italiano che gestiva il più gettonato luogo virtuale dove le comunità pedofile scambiano informazioni per reperire "materiale di nuova produzione". Si tratta di un "marketplace" con attività illegali di ogni genere.

I poliziotti del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia online (Cncpo), a seguito di numerose perquisizioni informatiche, per la prima volta hanno anche eseguito il sequestro di 11mila wallet di criptomoneta, i soldi virtuali. L'operazione, denominata Babylon, è stata la prima nel suo genere in Italia, la seconda al mondo dopo la chiusura da parte delle autorità statunitensi del sito "silk road", il market place più conosciuto del web, a cui è seguita una condanna all`ergastolo del fondatore ed un risarcimento danni al governo per 184 milioni di dollari

Sul portale scoperto dalla polizia, si vendevano anche armi, passaporti di diverse nazionalità, di documenti di identità, carte di credito e  buoni pasto falsi, carte pay tv satellitari, servizi di hacking. La piattaforma del commercio illegale ospitava anche circa 210 venditori di droga, gestiti da un servizio web denominato "Pablo Escobar". Sono 170 mila i soggetti che hanno effettuato transazioni su questo mercato del commercio illegale.

"Si tratta di una indagine assolutamente originale - ha sottolineato il procuratore aggiunto Michele Prestipino della Dda di roma - e del tutto nuova nel panorama investigativo italiano: per la prima volta è stato svelato un fenomeno criminale di cui si è sentito parlare. Un mondo criminale incredibile parallelo e nascosto nell'universo della rete. Per noi questa indagine è solo un puto di partenza".
http://www.repubblica.it/cronaca/2015/07/31/news/deepweb-120156616/

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